Per me non c’è dubbio che il nostro pensiero proceda in massima parte senza far uso di segni (parole), e anzi assai spesso inconsapevolmente. Come può accadere, altrimenti, che noi ci “meravigliamo” di certe esperienze in modo così spontaneo ? Questa “meraviglia” si manifesta quando un’esperienza entra in conflitto con un mondo di concetti già sufficientemente stabile in noi. Ogniqualvolta sperimentiamo in modo aspro e intenso un simile conflitto, il nostro mondo intellettuale reagisce in modo decisivo. Lo sviluppo di questo mondo intellettuale è in un certo senso una continua fuga dalla “meraviglia“.
Provai una meraviglia di questo genere all’età di quattro o cinque anni, quando mio padre mi mostrò una bussola. Il fatto che quell’ago si comportasse in quel certo modo non si accordava assolutamente con la natura dei fenomeni che potevano trovar posto nel mio mondo concettuale di allora, tutto basato sull’esperienza diretta del “toccare“. Ricordo ancora, o almeno mi sembra di ricordare, che questa esperienza mi fece un’impressione durevole e profonda. Dietro alle cose doveva esserci un che di profondamente nascosto. Ciò che l’uomo vede davanti ai suoi occhi fin dall’infanzia non provoca alcuna reazione di questo genere; egli non si stupisce della caduta dei corpi, del vento e della pioggia, della luna o del fatto che la luna non cada, ne della differenza tra materia vivente e non vivente.
da Autobiografia scientifica, Albert Einstein, 1949