Iperinformazione. Un esperimento

Il dibattito sulla cosiddetta iperinformazione, ovvero la quantità di notizie, immagini, video che il digitale ci permette di incontrare ogni giorno, è sempre in fermento (01, 02). Ne ha parlato anche Umberto Eco suscitando non poche perplessità.
Il sentimento comune è che questa informazione decine o centinaia di volte superiore al passato possa creare confusione, possa impedirci una reale comprensione della realtà.
Il Dott. Martin Hilbert si occupa da anni di questo aspetto e ha calcolato che in venti anni, ovvero dall’avvento del digitale, la quantità di informazione che riceviamo per unità di tempo si è quintuplicata. Qualcuno ha provato a delineare la capacità del cervello (01, 02) ma non siamo ancora giunti a una risposta credibile. La situazione più probabile è un cervello adattativo, ovvero in grado di aumentare la quantità di informazioni memorizzabili e rintracciabili in relazione alla quantità di stimoli.
È un tema importante e affascinate. Dobbiamo prenderlo in maniera organizzata altrimenti si rischia, come spesso succede, di dire solo delle banalità.
La prima domanda a cui dobbiamo rispondere è se il nostro cervello è in grado di recepire, mantenere, organizzare tutta questa enorme quantità di dati.
Sappiamo che ogni notte, mentre dormiamo, le onde cerebrali scandagliano il cervello e riorganizzano le informazioni stipando quelle meno importanti e rafforzando quelle più importanti, rilevanti. Quindi, per dirla con una frase ad effetto ogni notte subiamo un “lavaggio del cervello”. Le informazioni insignificanti sono eliminate, altre vengono “zippate” ovvero archiviate ma senza rilevanza, pronte ad essere estratte in particolari circostanze e altre ancora invece messe in maggiore evidenza.
La seconda cosa da sapere,  come ben racconta Alessandra Farabegoli nel suo libro Sopravvivere alle informazioni su internet, non è tanto importante la quantità di informazione ma la selezione della stessa. Siamo più soggetti a sollecitazioni del passato ma abbiamo imparato, o stiamo imparando, a difenderci. Memorizzando solo quello che ci interessa, selezionando contenuti e relazioni.
Proprio mentre lavoravo su questo tema ho letto, grazie ai social network, delle lamentele di alcuni studenti universitari che segnalavano la totale mancanza di tempo per studiare.

Ho messo, forse frettolosamente, insieme queste due cose e ho iniziato oltre due anni fa un percorso di analisi del problema.
Ho avuto modo di intervistare numerosi studenti chiedendo, in maniera anonima, la loro organizzazione giornaliera del tempo.
Il risultato è stato sorprendente.
Non si rendono conto, ma sprecano una quantità incredibile di risorse temporali in azioni del tutto inutili seppur talvolta necessarie. Come gli spostamenti, fare le code per prendere dei libri, usare strumenti inadeguati di informazione.

Uno degli aspetti più significativi è l’incapacità diffusa di usare strumenti come Google per trovare solo le informazioni che servono. La rete è uno strumento fortemente dispersivo e bisogna avere chiaro l’obiettivo della ricerca. Gli studenti hanno difficoltà molto spesso a capire l’autorevolezza delle fonti, leggo la prima informazione che capita. Questo fai da te culturale è del tutto inutile per avere chiari i concetti fondamentali e fanno solo rumore e confusione.
Questo non è per  nulla scontato.
Ho provato dei modelli di ottimizzazione del tempo: utilizzare i momenti vuoti per imparare qualcosa. Il dubbio che mi è venuto, trascinato anche da questa idea che l’iperinformazione sia qualcosa da combattere, era il rischio di “saturare” lo spazio disponibile.
La didattica a distanza ci può insegnare molto in questo senso.
La disponibilità di materiali audio, come i podcast, le registrazioni delle lezioni o le letture dei libri, permetterebbero di ovviare a questo problema.

A questo punto non si poteva far altro che fare una prova.

Negli ultimi 12 mesi ho voluto condurre personalmente un esperimento di iperinformazione per capire lo stress a cui si potrebbe venir sottoposti.
Mancava un’analisi e una conferma della possibilità di acquisire informazioni anche in mobilità, attraverso l’uso dei riproduttori.
Lo scorso anno ho deciso di iniziare l’esperimento ponendomi degli obiettivi di apprendimento. All’inizio non sapevo quanto sarebbe durato e ho posto obiettivi ravvicinati a qualche giorno o qualche settimana. Dopo una serie di proroghe ho deciso di allungare la prova ad un anno completo avendo quindi a disposizione dei dati sperimentali molto più attendibili.
Per fare questo sono partito da alcuni media diversi: libri, e-book, web, video, film, podcast e ho iniziato a selezionare alcuni contenuti che non conoscevo. Ho approfittato di questo esperimento per recuperare una serie di libri che non avevo letto e temi che mi appassionavano.
Ho quindi mappato le mie giornate tipo, e definito in quali momenti spingere sull’acceleratore dell’apprendimento. Ho identificato nei trasferimenti (treno, aereo, piedi) e nelle attività manuali i momenti adatti per ascoltare i podcast.
Ho eliminato definitivamente la televisione preferendo nelle stesse ore leggere o guardare video e film ma ho lasciato inalterati tutti i tempi sociali (incontri, cene, amici, ecc.).
Mi sono imposto inoltre di non usare il lettore audio in presenza di altre persone per evitare forme di isolamento.
Ho annotato prima giornalmente e poi settimanalmente le osservazioni.
I risultati sono stati sorprendenti: mantenendo le stesse abitudini e rapporti interpersonali si arriva a recuperare agevolmente tra le 400 e le 700 ore all’anno. Cioè quanto un buon Master.
Il livello di apprendimento non si è mai degradato, nemmeno nelle giornate di maggior intensità di iperinformazione.
Dopo le prime ore di adattamento, la capacità di ascoltare in maniera critica i podcast permette di “sottolineare” ovvero di memorizzare in maniera profonda le parti significative. E la memorizzazione è eccellente anche a distanza di mesi.

L’esperimento, riassumendo ha portato a capire che:

  • L’iperinformazione non è un ostacolo all’apprendimento, anzi esattamente il contrario.
  • Se le lezioni universitarie fossero registrate, con qualità quindi senza rumori di fondo come succede nelle registrazioni amatoriali degli studenti, sarebbero un eccellente sistema di ripasso.
  • Si possono recuperare fino a 700 ore di studio all’anno senza cambiare le proprie abitudini.
  • È necessaria una quantità di sonno adeguata per riorganizzare le informazioni acquisite.
  • È importante saper selezionare i contenuti, non ascoltando di tutto ma dando delle reali priorità.